venerdì 14 gennaio 2011

Il cibo come cultura di Massimo Montanari

Massimo Montanari insegna Storia Medievale e Storia dell'alimentazione all'Università di Bologna. Autore di numerose opere tra cui Storia dell'alimentazione, Alimentazione e cultura nel medioevo, Atlante dell'alimentazione e della gastronomia.


Nel  Il cibo come cultura  , grazie ai suoi lunghi anni di studi, che gli valgono la fama di esperto mondiale,  Montanari riesce con molta chiarezza a sintetizzare il complicato e intricato rapporto tra cibo e cultura, arricchendo la celebre frase di Savarin <<Dimmi cosa mangi e ti diro' chi sei>>.
I codici di comportamento alimentare variano a seconda del tempo, dello spazio, del luogo. La storia del cibo cambia, si adatta ai mutamenti  sociali dell'uomo, dei suoi bisogni, della sua cultura.
Montanari ,per esempio, spiega l'inganno che si cela nel collegare oggigiorno il cibo al concetto di natura, in una visione romantica di spontaneità, esso è infatti in realtà un prodotto della cultura. L'uomo nei secoli ha addomesticato la natura per poter superare i limiti imposti dal Tempo,ndiversificando le specie vegetali e riuscendo cosi' ad ottenere raccolti per tutte le stagioni e inventando metodi sempre nuovi di conservazione.
Quello che noi oggi cogliamo come natura, spontaneità  è per il medioevo il prodotto di un'opera di coercizione sulla natura, piegata e usata per soddisfare i bisogni umani. 


La storia della cucina rientra in questo continuo mutare di schemi e valori a seconda dei tempi, dei luoghi e delle abitudini di una società. La cucina nel Medioevo è soprattutto arte, distanza dalla natura: i cuochi non rispettano le qualità originarie dei prodotti ma le modificano perchè l'uso del  fuoco, il dominio sulla natura, la capacità di piegare questa  al nostro volere sono segno di civiltà, è cio' che distingue l'uomo dagli animali.
Nell'Europa del Settecento invece, sotto le influenze del razionalismo illuminista e la passione protoromantica, nasce il fascino per una cucina semplice, preculturale e tendenzialmente cruda.  (nell'utopia naturalista di Jean Jacques Rousseau il buon selvaggio non cucina ed è felice)


Quando si parla di cibo e' difficile poi creare confini precisi, destinare un alimento ad una determinata sfera sociale o ad un particolare uso. Come è possibile dedurre dai ricettari medievali e rinascimentali, cibi che sono tipici di una classe povera(la pasta o la polenta) riescono a trovarsi anche sulle tavoli  nobili grazie all'aggiunta di ingredienti nobili o all'accostamento di vivande ricercate. 


"Ogni cultura, ogni tradizione, ogni identità è un prodotto della storia, dinamico e instabile, generato da complessi fenomeni di scambio, di incrocio, di contaminazione."

Inutile quindi, parlando di cultura alimentare, ricercare origini e identità precise. Montanari invita quindi ad abbandonare la paura per il diverso, perchè proprio il contatto con il nuovo, con realtà a volte anche conflittuali, si generano varietà e ricchezza. 
  



















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